Un altro fine settimana di raduni, in compagnia della mia fedele FIAT Berlinetta 508 1000 Miglia del 1935.
La meta questa volta era l’Emilia, per la terza edizione della Coppa Garisenda, organizzata dal Club Bologna Autostoriche.
La manifestazione rientra nel calendario nazionale ASI “turistiche con prove” e in effetti, oltre alla ventina di prove di regolarità, gli spunti turistici sono stati molteplici.
Prima di tutto, i panorami concilianti delle colline modenesi e reggiane, con i loro borghi avulsi dal tempo come Brescello, il poetico villaggio di Don Camillo e Peppone, oppure Gualtieri, patria di Ligabue (bella la sala museale a lui dedicata) e del “sarto delle dive” Umberto Tirelli (da vedere la collezione di opere a lui omaggiate dai maggiori artisti del Novecento italiano).
Senza tralasciare il Castello di Montegibbio e Parma, col suo Palazzo Ducale e il grande parco (cercate la serra con la delicata violetta a fiore doppio).
Poi la motor valley, con la visita alla Dallara Academy, avveniristico centro di formazione che avvicina appassionati e addetti ai lavori al meraviglioso mondo della motoristica attraverso un percorso guidato dove l’experience ha un ruolo prioritario.
Infine, inutile dirlo, la cucina emiliana, ricca e gustosa, sperimentata in varie declinazioni, e ovviamente i vini, dal Pignoletto al Lambrusco di Sorbara.
Grazie a Mario Sandrolini, presidente del Club bolognese, e a tutto il suo team, per la franca cordialità e l’attenzione ai dettagli che hanno reso perfetto ogni momento del raduno. E un grazie anche alla mia Berlinetta: alla sua età, cinquecento chilometri in tre giorni sono una bella fatica!
Un’altra 1000 Miglia è terminata, e come a solito ci troviamo sulla scrivania una moltitudine di oggetti che ci ricordano quei giorni di attesa, di tensione, di stanchezza e di gioia.
Il bellissimo orologio che Chopard ogni anno regala al conduttore, i pass, le medaglie, la grande quantità di circolari informative, i gadget ma soprattutto i cinque corposi road book che ci hanno guidato per quasi 1800 chilometri sulle strade più belle, sconosciute e a volte impervie d’Italia.
Tutti pieni di annotazioni, modifiche, scarabocchi, in alcuni punti con pagine strappate e altre attaccate con il nastro adesivo.
Scorrendo queste pagine è inevitabile rivivere momenti di condivisione, di rabbia, di stanchezza, di demoralizzazione e di euforia.
Perché questo è quanto la 1000 Miglia ti lascia.
Si parte amici, e se si arriva ancora amici vuol dire che siamo stati una bella squadra.
Il mio amico Cesare, che ha partecipato quest’anno per la prima volta, non aveva assolutamente idea di cosa significasse correre la gara.
Dal momento delle verifiche in poi ha iniziato a essere davvero in apprensione nel vedere la grande quantità di preparativi che avremmo dovuto assolvere prima della partenza.
Studiare il road book, per lui che non ne aveva mai visto, uno è stato già uno shock. Inserire nel cronometro tutte le prove speciali, non avendo mai fatto una gara di regolarità, lo è stato altrettanto.
Il navigatore è un membro molto importante dell’equipaggio. È sua la responsabilità di guidarti sulla strada giusta, di verificare le distanze per arrivare in tempo ai controlli orari, di calcolare quando è il momento in cui c’è abbastanza tempo per rifornire il carburante o per fermarci a mangiare. La responsabilità strategica di tutta la gara è nelle sue mani, e devo dire che è stato molto bravo.
Non voglio certo sminuire il mio impegno, che quest’anno è stato certamente più gravoso del solito: il clima era molto caldo, e sopportare temperature elevate nell’abitacolo per 15 ore di guida al giorno è stato veramente faticoso.
Il percorso di questa edizione era particolarmente bello, con itinerari nuovi e panorami sorprendenti, ma tra quelle cui ho partecipato è stata certamente la corsa con i tracciati più impegnativi. Credo che su circa 46 ore di guid, almeno il 70 per cento sia stato su strade di montagna spesso molto strette e ripide.
Prima della partenza, eravamo preoccupati per il tratto della Cisa, della Futa e della Raticosa, ma quello che abbiamo trovato lungo il percorso è stato di gran lunga più impegnativo. E qui entra in scena il terzo membro dell’equipaggio, la Balilla 508 aerodinamica, che nonostante i suoi soli 997 cc non ha mai battuto ciglio per l’intera gara.
L’ho strapazzata in tutti i modi possibili e immaginabili, esasperando la prima e la seconda marcia a regimi incredibili per superare salite impervie, sollecitando all’estremo i freni nelle discese ripide in un modo che nemmeno un’auto moderna avrebbe potuto sopportare. Invece lei, sempre impassibile, non ha mai perso un colpo, non ha mai consumato un goccio d’acqua e d’olio. Quando sorpassavamo automobili molto più potenti e blasonate, ferme a bordo strada fumanti e un sacco di meccanici con la testa nei cofani, devo ammettere con un po’ di imbarazzo che eravamo tutti e tre un po’ compiaciuti.
A lei siamo grati averci condotti all’arrivo senza difficoltà, voglio credere che sia il suo modo per ricompensarmi per tutte le cure e l’amore che le ho dedicato in questi anni.
100 automobili in rappresentanza di 19 marchi automobilistici, dalla Bugatti alla Jaguar alle Alfa Romeo, provenienti da 14 Paesi del mondo e una ventina di moto. Tutte auto sportive e tutte ante 1939: una grande rarità. Con la Ballot vincitrice del Primo Gran Premio d’Italia e la motocicletta Harley Davidson vincitrice del Circuito delle nazioni di cento anni fa.
Sfogliando la raccolta di Quattroruote, è emersa nel numero di giugno del 1973 a pag 188 un interessante articolo sulla 4a rievocazione della MM storica a firma di Federico Robutti.
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